Exhibition di fine anno degli studenti del bienno di Arti Visive.
Artisti: Alexandra Fongaro, Emma Schunack, Claudia Evangelista, Anica Huck , Zachary James Martin, Campbell Beatrix. A cura di Simone Cametti
RUFA Space, 5 -6 luglio 2022.
“The single hairy fish is a process to believe in.
With the belief in matter that can be defined absurd, the laws of nature are reimagined to enter a creative process that is always taking place in the being.
In this exhibition presented inside some spaces of RUFA, the students find themselves defining their own research without limitation, and affirm their presence in unconventional spaces.”
Performance: I love you. I know di Anica Huck
La parola teatro (“Theatron” in greco) significa un luogo da guardare e contemplare il luogo con un senso di meraviglia. La maschera era un elemento organico in questa forma d’arte perché è il mezzo per eccellenza per l’incarnazione dell’Altro e partecipa alla creazione del palcoscenico come luogo del dialogo tra il Sé e l’Altro. Con questo pezzo, l’artista ricrea uno spazio intimo tra se stessa, la co-interprete e il pubblico. L’elemento di raccordo tra i corpi degli interpreti è la maschera teatrale stessa, che genera tensione fisica e sollievo mentale attraverso la completa immersione nell’intimità della relazione. Il dialogo astratto – basato esclusivamente su citazioni da libri, film, canzoni e vita privata – fornisce al pubblico un mezzo per relazionarsi con la performance attraverso memorie collettive.
Performance: The mirror di Emma Schunack
C’è potere nello sguardo. Lo sguardo maschile è usato per riprodurre il proprio dominio quando trasformando un soggetto in un oggetto. Duplica il suo potere creando disagio nel luogo in cui luogo in cui lo sguardo arriva. Quando lo spettatore è costretto a guardarsi mentre guarda, le dinamiche di potere cambiano e si crea una nuova tensione di disagio. cambia e compare una nuova tensione di disagio. Ora lo spettatore diventa un oggetto del proprio sguardo.
Installazione: A Bunch of Stuff I Haven’t Quite Finished and I Probably Won’t di Zachary James Martin
“Con l’idea dello specchio e l’atto di guardarsi allo specchio per guardare un riflesso diretto di sé. Non riesco a guardarmi e a vedermi in modo accurato, non riesco a pensare a me stesso nel momento presente con una comprensione che ritengo accurata. Tra dieci anni, forse, sarò in grado di capire e vedere me stesso in questo momento più chiaramente di quanto non possa fare ora. Con l’idea di riflessione come processo di pensiero che richiede tempo e sguardo al passato. Riflessione con tempo. Il tempo porta un certo grado di onestà. Crediamo nel tempo come una grande forza al di fuori del nostro controllo che ha un forte effetto su di noi, che ci rivela verità, che ci mostra cose, che ci aiuta a capire. Pensate a come consideriamo la parola “saggio”, una parola che indica la conoscenza associata all’età, al tempo. Il tempo è il grande educatore. E io che sono un grande imbranato, spero di divertirmi, ripensando ad alcuni dei progetti miei incompiuti fatti nel corso dell’anno.
Ecco quindi i miei progetti non terminati, rifiutati e abbandonati. Forse saranno migliorati, rivisti, rifatti. Ma con ogni probabilità non lo saranno. L’idea è che anche questo sia lavorare. Che possiamo presentare le nostre opere incompiute, sporche e disordinate, e non solo i nostri capolavori finali.
L’idea di fondo dell’arte come mezzo di comprensione è presente nel mio approccio al progetto. Piuttosto che l’arte come mezzo per creare, l’arte come mezzo per capire. Voglio guardare al mio lavoro creativo e vedere cosa posso imparare.”
Performance: Weightless di Bea Campbell
Nata da un sentimento di disconnessione dalla familiarità dopo il trasferimento da Londra a Roma, l’artista era interessato a realizzare qualcosa che trascendesse i confini della gravità. Dopo aver provato diversi modi per far fluttuare qualcosa, è finalmente riuscita a trovare un modo per legare una lanterna accesa ed è rimasta affascinata dalla fragilità del movimento e la luce soffusa.
Questa performance consiste in cinque lanterne che volano ad altezze diverse, delicatamente legate al pavimento. I temi dell’equilibrio e dell’assenza di peso entrano in gioco: le lanterne si trovano nei confini della stanza, ma fluttuano dolcemente sopra il pavimento. Metaforicamente è una metafora della vita a Roma dopo Covid: l’assenza di certezze e la mancanza di basi bilanciano la gioiosa leggerezza dell’apprendimento e delle esperienze in una città in cui a volte l’artista si sente ancora un alieno.
Installazioni: 22/01/1994 di Claudia Evangelisti
In questo progetto l’artista decide di indagare le fasi del lutto attraverso sei installazioni, e più specificamente ciò che accade tra una fase e l’altra, analizzando il suo comportamento e lavorando verso l’ultima fase del dolore.
Ascolta le parole dei protagonisti