Installazioni performative dell’artista Alice Papi. A cura di Simone Cametti e Valeria De Siero.
RUFA Space, 7 luglio 2022.
Testo critico di Valeria De Siero.
Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di
se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della
gioia, è la sacra cima del monte, è il luogo dell'eterna calma, dove il
meriggio perde la sua afa, il tuono la sua voce e il mare che freme e
spumeggia assomiglia all’onde di un campo di grano […].
Friedrich Hölderlin, Iperione, 1797
Nei primi anni del Novecento il poeta e scrittore tedesco Rainer M. Rilke, scrisse un breve testo sull’arte Del Paesaggio.
Partendo da una considerazione sulla pittura dei vasi antichi, osserva come il paesaggio fosse messo in secondo piano rispetto al corpo, vero e proprio protagonista, soggetto da contemplare, da “coltivare” come la terra, poiché “l’uomo, sebbene al mondo da secoli, era ancora troppo nuovo a sé stesso, troppo entusiasta di sé per guardare oltre il suo corpo o distoglierne lo sguardo” (R.M. Rilke, 1929).
Anche quando l’artista iniziò ad accostarsi al paesaggio, a dipingerlo, lo fece da un punto di vista antropomorfo, non in quanto paesaggio di per sé ma come pretesto per parlare di un sentimento umano. Una modalità di rapportarsi al paesaggio che ha delle affinità con quella Presa di coscienza sulla natura (1976/1980) di Mario Giacomelli che, fotografando le colline marchigiane ed evidenziandone i segni della terra, intuì in quei paesaggi un’estensione della sua esistenza, una maniera di fotografare la sua realtà interiore. Il tema della proiezione dell’artista nel mondo circostante, riflette i dipinti di Alice Papi, dai quali emergono paesaggi astratti, frutto di uno stratificarsi di sensazioni che assumono forme indefinite, dai colori brillanti.
Con Limen, l’artista esce dalla dimensione della tela creando un’installazione che potrebbe essere concepita come in tre tempi e che tuttavia non richiede di essere osservata secondo un percorso cronologico. Un ramo, una casa, una linea, sono i tre elementi di una proiezione dell’artista.
Una proiezione materiale, considerati i mezzi utilizzati, ma soprattutto mentale. Così delle diapositive mostrano le fotografie di un esile ramo, sempre lo stesso, come se fosse l’unico punto fermo, presente, in un trambusto di segni d’inchiostro e di macchie di colore che interferiscono, tra una diapositiva e l’altra, con lo spazio del ramo, senza intaccarlo. Quell’elemento naturale, prelevato dal bosco o dalla campagna, viene a simboleggiare un equilibrio ricercato e forse ritrovabile in quella piccola parte costitutiva di una pianta.
L’opposto si potrebbe affermare della casa, generalmente associata al focolare, all’accoglienza, la sicurezza, e che ora è immortalata con i segni del terremoto del 2009, un accadimento passato ma di cui il presente preserva le tracce. La casa è costruzione dell’abitare, e abitare è per l’uomo la modalità di essere nel mondo (Heidegger, 1951); ma se quel luogo viene meno alla sua funzione e la precarietà incombe, dove trovare rifugio? Tornare ad abitare la Terra, quella stessa terra che scuotendosi distrugge il passaggio umano; ritornare al “tutto della natura” come scrive Iperione a Bellarmino, appare come unica possibilità.
E dalla terra osservare il cielo, e quella zona liminale che è l’orizzonte, per interpellare un futuro certamente incerto, che potrebbe assumere le sfumature di un tramonto, così come di un’alba.