MOSTRA DI LORENZO CAPPELLA - CIECO ANIMALE

Pittura

Cieco animale

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Congratulazioni allo studente RUFA Lorenzo Cappella per l’inaugurazione della double exhibition «CIECO ANIMALE», insieme all’artista Guido D’Angelo, in mostra nello spazio espositivo KHLAB dall’11 maggio al 4 giugno 2022

 

Il pensiero dell’animalità ha tanti volti, una moltitudine di gesti.

Divorando la maschera umana, là dove sorge lo sguardo, inizia il primo tracciato di un vagare erratico. Reprobo, ramingo, reietto (ri)comincia sempre daccapo l’indomita ricerca di un’espressività – fra l’artificio del codice e la spontaneità dello slancio – capace di restituire l’imperfetta esattezza di un sentire contradditorio. Gilles Deleuze, fra i pionieri della riflessione sul tema, ha individuato nel divenire animale una virtualità incarnata, metamorfosi di un processo orizzontale che connette l’individuo singolo con il tutto vivente.

Con Cieco Animale gli artisti Guido D’Angelo e Lorenzo Cappella confrontano due ricerche che attingono da una sorgente comune. Tracce, segni, orme; un eterogeneo repertorio connota il condiviso linguaggio primordiale, nella sua dimensione ancipite, sia materica che corporea. Trame dense e compatte (ri)producono l’esperienza del corpo umano, della sua forza per aprirsi ad un processo di differenziazione asintotico, che lo proietta verso l’assoluto di una tensione spersonalizzante, senza mai realizzarla del tutto. La serie degli Annebbiamenti di Cappella inaugura questo viaggio nell’indistinto. I due artisti rinunciano alla confortante razionalità della visione ottico-retinica, abbandonano il terso chiarore del cielo per immergersi nel caos pulsionale di uno spazio interiore: caverna delle origini, fucina preistorica del fare artistico.

Spettri nella notte della pittura, presenze o parvenze animali, visitano i quadri in mostra, e ne infestano la superficie, risalendo a monte, nel cuore vorticoso della loro genesi.

Il fantasma, sempre di Cappella, accoglie questi spiriti e li restituisce nella parvenza di una nebbia rosa. L’infanzia dell’arte è l’arte stessa, nella sua crudezza (e crudeltà) al contempo oscena e sacra. Bestie selvagge, creature libere e sacrificali, costituivano il primo riferimento iconico dell’homo sapiens, come presentato nello splendido e aurorale affresco teorico delineato da Georges Bataille, nella sua discesa nelle grotte di Lascaux. Nella mostra rappresentazioni come occhi ciechi nella notte emergono dalle pareti: lo sguardo opaco di bestie senza nome, sovrapposizioni di intrecci di colore che (dis)velano possibilità latenti, che ci (ri)guardano, come la gatta di Derrida che lo osserva oltre la sua nudità. Il pendant composto da In ascolto ci racconta proprio di un dialogo inclusivo che nell’apertura verso l’altro trova la propria ragione d’essere. D’Angelo e Cappella incorporano lo sguardo dell’animale come essere plurale, alla stregua dell’umanità nascente, quando inscrisse l’uro o il cervo nella nuda roccia di antri bui, premendo pigmenti organici contro le viscere della terra. Un’azione che (s)combina soggetto e oggetto, che defigura il primo e deoggettivizza il secondo. Una prospettiva condivisa, di interscambio simbiotico.

In questo processo senza nome, sempre in fieri, l’animale e l’identità risultano accomunate e trasformate, assorbite nella densa e compatta morsa di un transfert materiale che depsicologizza l’intenzione e la restituisce alla purezza del medium.

Un fare pittorico fatto di versi e silenzi, ritmi tesi e serrati che spalancano vuoti, squarci di melanconica poesia. La saggia incoscienza di questo sfumare e alternare masse cromatiche risponde a logiche impenetrabili, a ragioni antiche. Il mito, che appare nelle opere di D’Angelo, rifugge il racconto per archetipi, soggetti figurativi. Come nel caso di Prometeo, tale iconografia può (ri)emergere dimentica del giogo di narrazioni illustrative, edulcorate che l’hanno resa emblema della condizione umana, una prospettiva falsamente universalistica. Si restituiscono figure e paesaggi all’immaginario desublimato di un mondo arcaico, un universo che non vediamo, ma che avvertiamo – intercettati dallo sguardo rovesciato dei due artisti, da quello moltiplicato delle opere – come scossi da un fremito segreto, appena accennato, che pulsa sotto strati di colore e sensazione.
 
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