In mostra il progetto del fotografo Luis Carlos Tovar, realizzato insieme ai nostri studenti
Questa sera inaugura Fotografia, il Festival internazionale di Roma al museo Macro di via Nizza, nell’ambito del quale ci sarà anche uno spazio dedicato alla presentazione di “Cartografías de Escape” lavoro realizzato dal fotografo colombiano Luis Carlos Tovar, vincitore del Premio IILA-FOTOGRAFIA 2015, durante la sua residenza romana dello scorso anno. Con “Cartografías de Escape” (Cartografie di Fuga), Tovar propone un piano di osservazione della città di Roma, assumendo un ruolo di etnografo e, allo stesso tempo, di viaggiatore errante. Insieme a un gruppo di rifugiati e operatori sociali, per quasi un mese ha sviluppato un progetto fotografico nel centro di accoglienza Baobab in Via Cupa, un luogo totalmente gestito da volontari della società civile italiana, che si sono attivati per dare assistenza ai rifugiati dall’inizio dell’esodo dell’estate 2015 e che sono stati sgomberati a dicembre dello stesso anno. In questa fase Tovar si è avvalso della collaborazione degli studenti di RUFA – Rome University of Fine Arts.
Appellandosi alla memoria individuale e collettiva e alla propria capacità di mediatore, Tovar rievoca assieme agli ospiti del Baobab il viaggio, la traversata, la perdita, la peripezia, gli affetti, tutti elementi ricorrenti che generano un tracciato effimero ed emozionale che funge da catarsi terapeutica per i partecipanti e, allo stesso tempo, da ciò che l’autore chiama “etnografia ingenua”.
È così che Tovar, nella sua condizione di visitatore ed esploratore, riesce ad inserirsi in una città chiusa per mostrare, senza pregiudizi, uno dei drammi più difficili dei nostri tempi: la crisi migratoria e l’incapacità istituzionale e culturale di affrontarla, non solamente a Roma ma in tutta Europa. In questo spazio di esclusione, emerge “Cartografías de Escape”, fotografie, ritratti, narrazioni, testimonianze, suoni, che in modo esaustivo e poetico ci restituiscono una città parallela, una Roma complessa ma anche solidale, una periferia invisibile e profondamente umana.