Il gruppo di artisti, tra cui studenti RUFA, si interroga sulle realtà parallele
Il 28 maggio inaugura a Palazzo Velli a Roma (piazza Sant’Egidio 10 – Trastevere) la mostra del collettivo artistico Chiba, di cui fanno parte anche alcuni studenti della Rome University of Fine Arts (RUFA): Elisa D’Urbano, Priscilla Contesini, Federica di Piertrantonio e Giulio Cosimi, Eleonora Cerri, Viviana Lorelli, Yari Saccotelli, Giulia Derola, Francesca Paola Baldassarre, Giulia Marinelli, Cristina Gangale e Bruno Lorenzon. Il progetto in mostra, accolto nell’evento “Blankroom” costruito sul rapporto tra le arti visive e il clubbing contemporaneo, avrà come motivo conduttore “l’alieno” nei suoi significati più vari. Dallo straniero che mette in crisi il proprio sistema di certezze con il suo punto di vista destabilizzante, passando per il movimento dello spirito che esce da sé e diventa a sé estraneo, lasciando una scia di disumanizzazione, fino alla creatura del mondo lontano che nella mitologia contemporanea rappresenta la paura del diverso che può invadere lo spazio della propria quotidianità fino a minarne la possibilità d’esistenza, il concetto di alieno ha sempre assunto un’importanza nodale nella ambiente filosofico e sociale dell’essere umano, poiché è l’unico specchio in cui non riusciamo a riconoscerci, e costringe ad un allontanamento dai ristretti limiti di una realtà non più familiare. I lavori dell’esibizione curata dal collettivo Chiba accompagneranno i visitatori in questa costellazione tematica, verso un piano multisensoriale, tramite installazioni visive e opere che non si limiteranno a mettersi in mostra, ma inviteranno lo spettatore a rimanere coinvolto a un livello più viscerale.
Il collettivo Chiba nasce nel 2015 come emanazione naturale di menti “annoiate”, con l’idea di offrire un canale espressivo a chi non si sente in dovere di inserire degli argini nel proprio flusso espressivo. Gli artisti che lo animano prediligono i contrasti, le ibridazioni, i confini sfumati, e le ambiguità. Non hanno preferenze particolari, e oscillano sulla loro identità.
Le opere in mostra sono:
“Mutazioni naturali casuali”, un’installazione audiovisiva di Viviana Lorelli, Yari Saccotelli e Giulia Dedola. L’opera è composta da sei teche di vetro piene d’acqua in cui vengono proiettate sezioni del corpo umano in parte alterate. La scelta di utilizzare l’elemento fisico dell’acqua dimostra come tale liquido sia fondante per qualsiasi forma di vita. Questa sostanza è stata anche fulcro del lavoro del videoartista Bill Viola che definisce l’acqua con i suoi riflessi e la sua essenza fluttuante come il “vero medium ottico metaforico e simbolico della visione dell’esistenza dell’uomo”. È lui la fonte d’ispirazione.
“2 gennaio 2004”, di Eleonora Cerri Pecorella, un’installazione multimediale basata su alcune vecchie foto scattata con il cellulare e il cui soggetto interroga sulla presenza di forme di diverse forme di vita, sul futuro e sul senso dell’esistenza dell’uomo. L’ immagine è accompagnata da una storia che racconta la dinamica delle circostanza in cui la foto è stata scattata e le riflessioni dell’artista.
“#ALIENated” di Francesca Paola Baldassarre, Giulia Marinelli e Cristina Gangale. Si tratta di una video installazione che punta a creare una sensazione di solitudine
e smarrimento: l’alieno non ha un volto per gli uomini, ma si può manifestare in sensazioni, movimenti e ombre attraverso le immagini.
“BlankRoom”, di Priscilla Contesini, è un’installazione: una struttura cubica in ferro rivestita da un telo oscurante. Il tema dell’opera è il nero, inteso come summa dello spettro di colori che assorbono la luce e come assenza di materia. Facendo entrare lo spettatore nel nero del buio, gli si fa superare un margine che rappresenta l’atto di allontanarsi da un ambiente conosciuto e rassicurante.
“Too Many Voices”, di Elisa D’Urbano, un’installazione audiovisiva realizzata con vari pannelli su cui vengono proiettate varie teste incastrate tra di loro. L’artista gioca sull’idea del paradosso insito nella struttura dell’opera, il cui aspetto è ovviamente alieno e rappresenta sia un soggetto unito che una moltitudine frammentata e spersonalizzante.
“Geisteskrankheit”, di Bruno Lorenzon, un’opera che indaga sull’alienazione mentale come sinonimo di pazzia. A rigore d’etimologia, il concetto implica un cambiamento profondo della personalità del malato, che deve trovarsi come “fuori di sé”. Questa serie di lavori vuole essere una rappresentazione fisica dell’alienazione mentale collettiva, attraverso l’uso del “resemblagè” (resemble + collage), tecnica concepita dall’artista David Henry Nobody Jr. Questo processo consiste in un collage materico di oggetti applicati ad una forma umana che creano un’ interazione tra l’uomo e l’oggetto iconografico. Il risultato è un folle mash-up che mira a creare un responso alla società mediatica contemporanea, in relazione ad internet, e più specificamente, i social media che hanno portato a questa alienazione collettiva.
“B.LLY”, di Federica Di Pietrantonio e Giulio Cosimi. La loro riflessione nasce intorno alla percezione dell’oggetto-immagine, ai nostri metodi di approccio ad una realtà non immediatamente identificabile, e che tentiamo quindi di definire e catalogare per poter raggiungere un apparente stato di rassicurazione. Secondo il concetto di parallasse, il cambiamento della visuale di un’immagine dato dallo spostamento del punto di vista, veniamo automaticamente portati ad associare ad ogni variazione epistemologica dello spazio un cambiamento ontologico. È importante quindi impossessarsi di uno spazio e farlo proprio restituendogli una identità, che tenga conto complessivamente delle sfere di significato che esso assume di volta in volta, in base allo sguardo dell’osservatore. Lo spazio, in questo caso dislocato in due opere differenti e dialoganti tra loro, diventa elemento dialettico, in cui pieni e vuoti si completano solo a distanza e ogni elemento diventa estraneo al luogo di appartenenza.
Appuntamento il 28 maggio alle 18 a Palazzo Velli Expo, Piazza Sant’Egidio 10, Roma (zona Trastevere)