Quest’anno il festival che porta la musica elettronica nei musei ha presentato un nuovo progetto. Ce ne ha parlato la sua curatrice, Caterina Tomeo
Si è da poco concluso Spring Attitude, il festival della capitale che porta la musica elettronica nei musei, un’iniziativa che unisce esperienza l’esperienza sonora a quella visiva, coinvolgendo artisti internazionali e un pubblico variegato. Quest’anno l’aspetto artistico è stato ulteriormente amplificato dal progetto Spring + On, pensato per estendere ulteriormente il festival a nuovi linguaggi. Ne abbiamo parlato con la sua curatrice, Caterina Tomeo, docente Rufa di Arte elettronica e digitale.
Che cos’è Spring + On?
«Spring + On è il progetto artistico che abbiamo presentato in questa nuova edizione di Spring Attitude. Un evento speciale dedicato alla ricerca sperimentale avanzata e alle ultime tendenze generazionali legate ai nuovi linguaggi che si è svolto al Maxxi in occasione dell’opening del Festival».
Qual è l’importanza di questo progetto?
«L’importanza di Spring + On è nella volontà di aprire il Festival alla multidisciplinarietà e alla contaminazione tra linguaggi e saperi diversi. Dunque non solo musica, ma anche arte, creatività e tecnologia. Il nostro obiettivo è promuovere la cultura contemporanea a Roma».
Cosa vuol dire ospitare una rassegna come Spring Attitude in strutture museali?
«Vuol dire guardare oltre, seguendo l’esempio proficuo di altri Paesi che da circa venti anni ospitano festival e rassegne all’interno di spazi museali. Prima tra tutti Barcellona dove quest’anno si terrà la 22esima edizione del Sonar, che rappresenta una grande ricchezza per gli spagnoli incoraggiando la cultura e il turismo allo stesso tempo».
Qual è il bilancio di questa edizione?
«Direi ottimo, considerato che abbiamo raddoppiato il numero degli spettatori, raggiungendo 12 mila presenze circa, con un feedback positivo anche della stampa. Fantastico anche il supporto delle Amministrazioni, durante la Conferenza stampa ai Mercati di Traiano, l’Assessore alla cultura Giovanna Marinelli ha definito Spring Attitude un ottimo esempio di collaborazione tra pubblico e privato e ha espresso la sua volontà di sostenerci nei prossimi anni».
Quali artisti si sono esibiti a Spring + On? Com’è avvenuta la scelta?
«Abbiamo scelto due figure di spicco a livello internazionale e un gruppo di giovani emergenti italiani, che hanno proposto produzioni incentrate sulla performance e sull’esperienza percettiva di suoni, visioni e spazio. Il tedesco Robert Henke è una delle icone fondamentali della club-culture Berlinese dagli anni Novanta, le sue performance e installazioni si sono tenute recentemente nei più importanti musei internazionali. Edwin van der Heide, artista olandese, lavora nel campo del suono, dello spazio e dell’interazione, della sound art. I suoi lavori sono stati ospitati a in grandi festival come Ars Electronica-Linz e Sonar Festival-Barcelona. Quiet Ensemble è invece un duo nato nel 2009, che sviluppa un interesse rivolto alla contaminazione tra molteplici modalità espressive e all’uso delle nuove tecnologie. La sua presenza segna l’attenzione al nostro territorio, che intendiamo promuovere con tutte le forze».
Ormai il digitale ha fatto il suo ingresso nei musei e nelle arti visive. Com’è cambiato il panorama artistico?
«Sì, il fenomeno risale a venti anni fa ma in Italia si sta muovendo qualcosa di interessante soprattutto negli ultimi tempi. La presenza della media art e della sound art nelle gallerie e nei musei è sempre più forte, forse perché hanno compreso che si tratta di una realtà in fieri che molto avrà da dire e da dare nei prossimi anni».
Molte ricerche artistiche recenti stanno dando sempre più spazio al suono. Da cosa deriva, secondo te, questo interesse?
«L’interesse per il suono non è una novità nella ricerca artistica, penso all’opera di rottura di John Cage, alle performance di Fluxus, a Vito Acconci, Bruce Naumann, Max Neuhaus che hanno introdotto la dimensione sonora nell’ambito delle arti visive. Grazie all’avvento del computer e dei software audio digitali, dagli anni Novanta in poi un gran numero di artisti ha focalizzato la propria indagine sulla relazione tra suono e arti visive, cioè su quella produzione complessa e instabile che chiamiamo sound art. Si tratta di un campo difficile da definire sia per la sua dipendenza ossessiva dallo scenario tecnologico, sia per il suo continuo sconfinamento in linguaggi differenti. Credo sia possibile oggi parlare di un fenomeno importante che accoglie tre macro categorie: le installazioni ambientali, le sculture sonore, i suoni prodotti dagli artisti. I programmi digitali hanno permesso di trattare il suono come una materia plastico-spaziale, di pensarlo e di visualizzarlo in tempo reale, di sezionare e frammentare la materia sonora. Questo ha aperto infinite possibilità alla sperimentazione artistica superando i canoni estetici convenzionali».
Quali novità ci attendono nella prossima edizione? Qualche anticipazione?
«Mi spiace sono scaramantica, nessuna anticipazione…ma una promessa: la primavera sarà sempre più stimolante e multisensoriale».